L’angolo della posta – Cronache del ritorno

La mattina del 01 Gennaio 2023 ho ricevuto un’email con allegato un racconto: la storia di Elle.

Caro Gian Marco,

ho letto sul tuo blog le tue esperienze di lavoro in Germania e le difficoltà che altri colleghi ti hanno raccontato nell’angolo della posta, volevo fornirti anche io la mia esperienza, che è piuttosto diversa dalle altre e, con questa, fornire a chi leggerà una visione più ampia della realtà sull’opportunità del ritorno in Patria e spero anche una visione più disincantata dell’estero, della vita da expat, soprattutto da medico, e in particolare da medico specializzando in Germania. L’argomento è ampio e questo mio intervento, mi rendo conto, è molto lungo, lo suddivido in paragrafi, così, a colpo d’occhio, anche chi non voglia leggerlo tutto, può leggere gli stralci che possono essere più di interesse.  

Il racconto della mia esperienza. Ho concluso una prima specializzazione in Italia, avevo intenzione di farne una seconda che ho iniziato in Germania (facendo la solita trafila che fanno tutti: documenti, C1 di Tedesco generale e Fachsprachprüfung) ma, per una serie di motivi che ora spiego, sono tornato in Italia a rifare la stessa specializzazione che avevo iniziato in Germania, penso per questo di poter confrontare abbastanza bene le due realtà. Avevo scelto la Germania affascinato dalla generica attrazione che avevo verso questa cultura ma soprattutto dai racconti entusiastici sul lavoro in questo Paese, alcuni amici che avevo e che ci lavoravano mi dicevano che si trovavano molto bene soprattutto in relazione alle tante possibilità di formazione, allo stipendio alto ecc. (perché in fondo uscito da una specializzazione – e quindi non proprio di primo pelo – non vorrai mica tornare a fare lo studentello in Italia?). Vado rapido sul dettaglio delle motivazioni contingenti che mi abbiano spinto a tornare in Italia, in particolare la davvero molto sgradevole esperienza di mobbing che ho subito nell’ultima fase del mio periodo in Germania e per mobbing – ci tengo molto a precisarlo – intendo demansionamento ed emarginazione lavorativa: su un contratto Vollzeit (prima di sei mesi e poi rinnovato con un secondo contratto di un anno e mezzo) mi davano da lavorare, sommando le ore spalmate nella settimana, circa 3 giorni su 5 giorni, nell’abbondante tempo rimanente banalmente mi giravo i pollici, nel senso che mi trovavo da me qualcosa da fare: studiavo per lo più, mi ristudiavo casi già affrontati e a volte era molto difficile e noioso tirare fino alla fine della giornata: non ho mai lavorato così poco nella mia vita. Sono subito subentrati sentimenti di disistima e autosqualificazione: l’idea che fossi un pessimo lavoratore e per questo venivo punito era costantemente presente, ma la verità era evidentemente un’altra:  loro hanno sempre avuto sempre la possibilità di licenziarmi in tronco in qualsiasi momento (ero in Probezeit, perché indurre me al licenziamento?) ma non l’hanno mai fatto, anzi, mi hanno perfino rinnovato il contratto dopo il periodo di prova, alla fine mi sono licenziato io: la conclusione alla quale sono giunto è che lì dove sono capitato avevano evidentemente bisogno di una scimmia straniera che sbrigasse attività escrementali ma per le quali c’era però bisogno di un’Approbation. Il mio primo monito è proprio questo: in Germania allora possono capitare cose strane come questa. Inizialmente mi era sembrato un buon posto, evidentemente mi sbagliavo. Ho iniziato a candidarmi altrove, ho inviato diverse candidature, non in modo indiscriminato ma selezionando i posti che mi sembravano più interessanti: alcuni non mi rispondevano, altri mi rispondevano con rifiuti, altri ancora mi facevano il colloquio ma non si facevano più vivi. Era primavera, periodo di bando SSM in Italia, mi iscrivo, faccio il concorso ed entro nella mia prima scelta.

La mia storia mi ha fatto capire alcuni aspetti generali che mi hanno fatto perdere fiducia nel sistema tedesco:

1) Le possibilità di scelta del posto di lavoro. Contrariamente a quanto si dice, in Germania non è che proprio tu abbia tutta questa libertà di scelta su dove andare a lavorare: soprattutto all’inizio e se sei straniero ti ritrovi a fare l’Oliver Twist della situazione che porge la scodella, spammando indiscriminatamente candidature a mille ospedali nella speranza che qualcuno ti chiami; in Italia per accedere a qualsiasi specializzazione in qualsiasi sede devi prepararti e posizionarti bene al concorso: la tua discrezionalità e capacità di controllo è amplissima. In Germania mi sarebbe molto piaciuto ricevere un contratto che avesse coperto tutta la durata della specializzazione, magari in una grande clinica, con una casistica vasta ed eterogena e con molta diagnostica dalla quale si potesse imparare tanto, con strutturati predisposti e desiderosi di insegnare, con un buon clima lavorativo, con le branche e gli ambiti ultraspecialistici che mi interessavano, con sicurezza, regolarità, equilibrio e organizzazione delle rotazioni e con la possibilità eventualmente anche di fare un po’ di attività scientifica, e poi (visto che non è che uno lavora soltanto) magari una città carina con un’offerta sociale interessante e con dei dintorni attraenti. Tutto questo, che potrebbe sembrare la lista del molibdeno, è semplicemente tutto quello che ho trovato entrando in specialità in Italia – sapendo prima che lo avrei trovato (perché hai tutte le fonti da cui puoi informarti), facendo in modo di entrare lì dove sapevo che lo avrei trovato, ovvero banalmente preparandomi per il concorso.

In Germania mi sarebbe scaduto questo contratto di un anno e mezzo, in un posto in cui mi stavo trovando malissimo, le prospettive erano piuttosto fumose perché non sapevo chi mi avrebbe preso, in che posto sarei finito: avevo paura di dovermi accontentare di qualche altro postaccio, così come avevo già fatto. In Italia col concorso attuale puoi sparare in alto e ce la puoi fare perché hai studiato, in Germania invece su questo non hai alcun tipo di controllo. Inoltre, in Germania le possibilità che un candidato ha di avere utili e concrete informazioni sul posto di lavoro prima che l’impiego abbia inizio sono davvero molto limitate, per la specializzazione italiana esistono invece diversi canali ufficiali e non dai quali attingere (Io, ad esempio, prima di stilare la lista delle scelte ho contattato diversi specializzandi delle scuole che avevo preso in considerazione e c’ho parlato). In Germania ok, puoi sfruttare i 6 mesi di Probezeit e se non ti piace te ne vai, ma hai perso comunque del tempo e andarsene durante la Probezeit potrebbe ingenerarti delle seccature, come dirò in seguito.
A volte mi capita di leggere sul gruppo Facebook di colleghi italiani che, affacciandosi al lavoro in Germania, vogliono (ad esempio) fare cardiologia a Berlino (quando non proprio in Charité) o dermatologia a Monaco (quando non proprio alla LMU), non so perché si sia diffusa questa terribile convinzione che la specializzazione e il lavoro in generale in Germania (per uno straniero!) possa funzionare à la carte. Questo mi permette di allacciarmi ad altri due problemi molto interconnessi.

2) La concorrenza (sleale) dei madrelingua: ad un certo punto ho capito che non mi andava giù che i Tedeschi avessero sul lavoro possibilità migliori rispetto ai non Tedeschi (cioè alle mie), è per l’appunto una concorrenza sleale (assolutamente legittima, accettabile, prevedibile) che certamente metti in conto, ma viverla è un’altra cosa. Si capisce, quindi, che da neofiti (ma anche quando non si è più tanto neofiti) del lavoro in Germania, magari venendo da neolaureati e con la lallazione di un B2, avere determinate pretese è quanto meno assai ingenuo.

3) La lingua. A proposito di lallazione. Lavorare in Tedesco rende (sempre e a prescindere dal tuo livello) meno efficiente e più vulnerabile a qualsiasi cosa. In Germania si guadagna di più ma nella mia percezione lo stress è superiore per via della lingua, perché oltre alla barriera delle difficoltà tecniche impartite dal tuo lavoro, devi sempre sopportare la barriera della lingua, cosa che probabilmente passa con il tempo (o forse fai il callo alla tua inefficienza) ma alla fine hai trascorso un bel pezzo di vita in uno stato di menomazione (e questo lo dico pur avendo conseguito un C2 al Goethe di Amburgo); e mi chiedo se ne valga davvero la pena, se il guadagno economico sia veramente netto a fronte di questa condizione, anche se mi rendo conto sia una questione soggettiva: io col mio C2 continuo comunque a sentirmi linguisticamente menomato, ho visto di contro stranieri, anche italiani, con il loro B2 stentato litigare di prepotenza coi madrelingua.

4) Le discriminazioni. Sulla scorta dei precedenti due fattori (concorrenza sleale e ineludibile, duratura menomazione linguistica) è il caso di considerare un altro aspetto: la Germania è un Paese che fa molti sforzi (di natura soprattutto mediatica e culturale ma anche amministrativa) per imporsi come società aperta e tollerante verso le minoranze e gli stranieri (per straniero intendo genericamente il non-tedesco, quindi anche gli italiani), a mio modesto avviso perché subisce una tal forte immigrazione, che atteggiamenti di chiusura e intolleranza sarebbero controproduttivi e alla fin fine non più realizzabili (anche per evidenti ragioni storiche…). Nel complesso potrei dire che ci riesce, c’è un’attenzione maniacale alla situazione delle minoranze e degli stranieri nel Paese, anche linguisticamente domina un politically correct molto palpabile, non è raro vedere, nelle immagini degli annunci che pubblicizzano posti di lavoro, team apertamente multiculturali, sorridenti e accattivanti. Questo è quello che succede nella facciata, nessuno vieta alle discriminazioni (e qui parlo per esperienza personale diretta) di manifestarsi (con diverse declinazioni di intensità) nel microcosmo dell’ambiente lavorativo, anche questo rientra nel concetto di vulnerabilità a cui facevo riferimento.

5) Le opportunità di lavoro. Per quanto riguarda le opportunità, si dice che in Germania il lavoro sia molto dinamico, sicuramente lo è, nella mia percezione lo è fin troppo: l’errore più grande che si possa fare è quello di andare in Germania per ottenere i vantaggi della Germania, dando per scontato i vantaggi che avresti facendo la specializzazione in Italia: bisogna familiarizzare con l’idea di poter ricevere anche contratti a (molto) breve termine (uno dei contratti che mi hanno offerto ed ho accettato è stato di sei mesi) o di poter essere lasciati a casa durante il periodo di prova per i più svariati motivi (non necessariamente legati alla scarsa produttività) o di dover traslocare piuttosto frequentemente e, soprattutto, che il tuo percorso di specializzazione duri un po’ di più (o anche molto di più) di quello che ti aspetti. Si identifica come fattor comune di tutta questa situazione una più limitata pianificabilità e controllabilità del proprio percorso, rispetto a quello che si potrebbe avere in Italia. L’idea del vantaggio che il poter cambiare, licenziandosi e candidandosi altrove, sia il fulcro del potere contrattuale dello specializzando in Germania è sicuramente vera ma nasconde delle insidie: un capo tedesco avrà sempre il potere di danneggiarti se lo vuole, essendo il sistema in Germania fondato su lettere di referenza e la propria reputazione potrebbe non dipendere soltanto dal proprio rendimento (e ho avuto come l’impressione che potesse anche dipendere da un certo carattere supino verso gli Chefs, a cui nessuno impedisce di essere volubili e vendicativi). Licenziarsi durante il periodo di prova, ad esempio, può essere un chiaro segnale che il dipendente sta dando al suo capo per dirgli che quel posto di lavoro gli faceva schifo, il che è assolutamente legittimo, così come è legittimo che uno chef esprima il risentimento così ingenerato nelle referenze che andrà a scrivergli. E naturalmente nessuno vieta ad un primario successivo di indagare bene le vicende della precedente occupazione: brevi periodi di occupazione che si ripetono, ad esempio, licenziamenti prematuri durante il periodo di prova da ambo le parti (dipendente e primario) possono non essere un buon biglietto da visita per il candidato e rendere la successiva ricerca di un posto di lavoro più difficile. Quindi mi sentirei di ridimensionare i vantaggi rappresentati del “mercato dinamico”.

6) Il sistema basato sulle referenze. Emerge questo altro aspetto che non mi ha convinto del sistema tedesco. In Italia la raccomandazione è giustamente qualificata come il cancro del nostro sistema, in Germania è un elemento assolutamente accettato su cui si fonda il sistema, beninteso è più o meno (e sottolineiamo più o meno) vero che in Germania nessuno raccomanda amici e parenti, ma è anche vero che nessuno può impedire, come accennavo, a un capo carogna di farti una cattiva pubblicità compromettendo eventualmente le tue future possibilità, perché magari non gli andavi particolarmente a genio, per i più disparati motivi. Questa situazione del panorama lavorativo tedesco non mi è mai sembrata molto trasparente e tranquillizzante. Mi si dirà che in Italia è lo stesso se non peggio, ma se devo sopportare la fatica dell’espatrio, pretendo di avere una cosa migliore di quella che avrei nel mio Paese. Quella che sottolineo è la sostanziale discrezionalità di cui gode un capo nello scriverti la pagella e conseguentemente la discrezionalità che ha nell’influenzare la tua reputazione lavorativa, questo perché in Germania come in Italia esistono capi più onesti e altri meno. Aspettarsi una maggiore onestà solo perché all’”estero le cose vanno meglio” è davvero molto ingenuo. Impossibile a questo punto non menzionare quella che considero una caratteristica un po’ patetica, avvilente e farsesca inerente a questo sistema di referenze: secondo la giurisprudenza tedesca (BAG, 9 AZR 584/13) le referenze lavorative (Arbeitszeugnis) devono sulla carta corrispondere ad una valutazione quanto meno soddisfacente (befriedigend), per questi motivi una valutazione inferiore (una pagella esplicitamente negativa insomma) può causare non poche seccature proprio al datore di lavoro e siccome le seccature non le vuole nessuno, ecco che, per aggirare la cosa, (i primari) si sono inventati tutto un modello di circonlocuzioni e espressioni-segnale da riportare nella referenza che, pur non manifestando l’aperta critica e la cattiva valutazione, sono inequivocabilmente interpretate come tali dagli addetti ai lavori (gli altri primari che leggono). Quando ho realizzando l’esistenza di questo grimaldello mi sono cadute le braccia. Lo trovo un sistema un po’ ipocrita.

7) La formazione in Germania è migliore? Per quanto riguarda questo aspetto: al netto di numerosi distinguo da operare, per quello che ho visto io può apparire vero: in genere gli obiettivi formativi della specializzazione tedesca sono, ad esempio, più numerosi di quegli italiani, sta però anche di fatto che la durata dalla specializzazione tedesca è maggiore, si tratta quindi di un paragone tra i due sistemi che deve essere fatto nel modo corretto: sarebbe ovvero scorretto comparare la preparazione di un neospecialista tedesco contro un neospecialista italiano: il primo ha certamente più anni trascorsi in formazione del secondo, il vero paragone bisogna farlo tra un medico tedesco e un medico italiano, a parità di anni trascorsi in formazione o in generale di esperienza nella pratica specialistica specifica. Io personalmente durante il mio pezzo di specializzazione in Germania ho imparato cose che in Italia non avevo mai visto e tuttora mi porto dietro come un bagaglio culturale molto utile, ho però anche visto terribili esempi di incompetenza caprina (che ho potuto giudicare proprio perché avevo già una specializzazione di ambito affine), totale ignoranza delle più elementari forme di evidence based medicine e gretto misoneismo. L’idea che mi sono fatto è che, per le specializzazioni non chirurgiche, non è possibile fare generalizzazioni tra Italia e Germania sui livelli di qualità, sia per quanto riguarda la pratica sia per quanto riguarda l’insegnamento e la formazione in generale: centri di altissimo livello ci sono in Germania come in Italia: dire che il livello di pratica e formazione in (ad esempio) Medicina interna in Germania sia più alto che in Italia è una generalizzazione che non ha davvero nessun fondamento, ma piuttosto c’è da valutare caso per caso, centro per centro, esperienza per esperienza; riflettiamo piuttosto su quante possibilità abbia uno straniero (un italiano) per formarsi di accedere ai centri di eccellenza tedeschi, rispetto alle possibilità che avrebbe di accedere a centri di medesimo alto livello che vi sono in Italia.

8) La qualità di vita. Al netto della misura in cui questo dipenda dalla retribuzione, che è appunto alta, si apre un immenso ginepraio di considerazioni: di tanto in tanto leggo sul gruppo dei medici italiani in Germania che la qualità della vita in Germania è alta; una volta ho discusso con un italiano che vive a Valencia che mi diceva che è ovvio che io me ne sia tornato in Italia visto che la qualità della vita in Germania è pessima: la verità è che il giudizio sulla qualità della vita è estremamente soggettivo, la decisione se si sta bene o male in un posto non spetta ad una classifica ma al singolo che quell’esperienza deve affrontarla. Al di là della mia pessima esperienza lavorativa e delle perplessità sul sistema tedesco che ne sono conseguite, io in Germania mi trovavo davvero molto bene, ho stretto diverse amicizie con i tedeschi, che durano tuttora, adoro tornarci e godermi la Stimmung dei posti in cui ho vissuto e poter continuare a praticare il Tedesco che ho tanto faticosamente conquistato, socialmente mi sono sentito complessivamente integrato, ho vissuto in città splendide che ho amato, a questo proposito posso dire che la Germania è piena di posti estremamente interessanti e stimolanti, città meravigliose che vanno dal fiabesco al cosmopolita e al futuristico. Di contro è però anche piena di posti di una bruttezza inenarrabile. E come detto all’inizio non è che proprio tutti abbiano tutto questo potere di scelta dove andare a lavorare e vivere.

9) La vita spezzata. Unico punto che tocca un aspetto un po’ più psicologico: io uso l’espressione di vita spezzata: ero arrivato ad un punto in cui esistevano due me, uno viveva in Germania e l’altro in Italia: il Tedesco era la lingua della fatica e la Germania il Paese del lavoro, lo spazio che era al di fuori di questa realtà (le vacanze, le ferie in Italia ecc) era lo spazio in cui vivevo realmente. Il me tedesco serviva solo per il lavoro, quasi tutto il resto della vita era demandato al me italiano. Anche se stavo bene con i miei amici tedeschi, non era la stessa cosa. La vita spezzata è una dimensione di differimento, in cui rinvii la tua vita, ad esempio, alla pensione, quando torni in Italia, o alle vacanze in cui finalmente puoi recuperare la vita che non hai vissuto nei mesi precedenti, o anche banalmente al momento della giornata o della settimana in cui esci con il gruppetto di amici italiani, perché con gli amici tedeschi per carità stai bene, ma con gli amici italiani senti di essere più te stesso.  Ho sentito molti colleghi italiani a cui questa situazione di divisione va bene: scelta rispettabilissima ma non è la mia.

10) Lo stipendio. Parliamo allora del principale argomento a favore dell’espatrio in Germania, che intenzionalmente tocco per ultimo: la retribuzione. Sotto il profilo di un lavoro dipendente, quindi in questo rientra a pieno titolo l’inquadramento dello specializzando, la Germania è assolutamente imbattibile, gli specializzandi tedeschi possono godere di ottimi contratti di lavoro per stipendio, elasticità, condizioni generali e possibilità di prestazioni sociali che in Italia, per i primi anni del percorso di specializzazione (se non si sfrutta il DL 30/04/2019 n. 35 a cui accenno in nota), sostanzialmente non ci sono. Inoltre, nella mia percezione, non esiste un costo della vita più alto in Germania che in Italia (a parte alcune realtà, vedi Monaco), quindi in termini assoluti il guadagno è netto. Dico “in termini assoluti” perché ritengo che tutti i problemi e le criticità che ho cercato di illustrare nei punti precedenti controbilancino la gratificazione della retribuzione più alta: beninteso è una valutazione assolutamente soggettiva: per molti colleghi i punti che ho elencato potrebbero anche non esistere o essere insignificanti rispetto al bilancio complessivo della situazione. Perché dico che per alcuni potrebbero non esistere? Faccio un esempio: una volta a Düsseldorf chiacchieravo con un infermiere italiano che lavorava in Germania e gli chiedevo se non si sentisse demansionato rispetto alla qualità delle mansioni di un infermiere in Italia, lui mi rispondeva un deciso no, che non si sentiva affatto demansionato. Ora, In Italia gli infermieri sono praticamente dei mini-medici, quanto diversa sia la figura dell’infermiere in Germania e diverse le loro mansioni rispetto all’Italia è di tutta evidenza, eppure l’infermiere con cui ho parlato diceva di non sentirsi demansionato rispetto all’Italia. È una rispettabilissima valutazione soggettiva (eppure se devo interpretarla con un po’ di malizia, immagino che un buono stipendio agevoli una maggior tolleranza verso un certo tipo di situazioni e questo potrebbe valere anche per i medici). In tema di stipendio, come contraltare mi si farà allora presente il miserabile stipendio da specializzando italiano; che sia miserabile, rispetto alla qualifica e alla quantità di lavoro, non ci piove. Da specializzando italiano posso dire che ora faccio sicuramente più attenzione a come spendo (più di quanto non facessi quando ero Assistenzarzt) ma certamente non chiedo l’elemosina ai crocicchi delle strade e so che questa condizione sarà comunque rapidamente transitoria [1]. A chi, una volta, sul gruppo dei medici italiani in Germania chiedeva se non ci si fosse mai pentiti di essere andati a lavorare in Germania, un membro rispondeva citando questo articolo di Quotidiano Sanità (àhttps://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=108638&fr=n&fbclid=IwAR3BM71vapt29AibzBe4DTOQWeb0vQ_KSNCxn42cPaJD1KJktJiuDBt6GPI) commentando con la tranchant domanda retorica ci sono altri dubbi?. L’articolo dice che un medico italiano guadagna, a parità di potere d’acquisto, il 70% in meno di un collega tedesco e tant’è, il dato è schiacciante e incontrovertibile. Il punto è che fintanto che ci si limiterà a confrontare asetticamente gli excel degli stipendi fino all’ultima cifra, l’indubbio vantaggio della Germania sarà schiacciante. Io, come ho cercato di mostrare, faccio un discorso più ampio di bilanciamento tra vantaggi e svantaggi. Familiarizziamo inoltre con l’idea che nessun medico in Italia fa la fame, anzi…Andiamo allora a riprendere lo stesso articolo di Quotidiano Sanità e scopriamo che in media lo stipendio di un medico italiano si aggira intorno agli 8.500 euro al mese, che ad occhio e croce mi sembrerebbe un signor stipendio se, accontentandomici, posso evitarmi il rischio di finire in qualche remoto ospedale nella landa di Luneburgo o nelle campagne del Sachsen-Anhalt, di subire più o meno sottili discriminazioni per il fatto di non essere un madrelingua o uno straniero in generale, di dover lavorare con il duraturo fardello della lingua straniera o di dover essere costretto ad eseguire (faccio per dire) le laringoscopie quando il mio sogno è la chirurgia ricostruttiva nei grandi ustionati, ambito difficilmente accessibile perché magari saturato dai tedeschi.

Come mi trovo in Italia dopo l’esperienza in Germania? Oramai sono da più di un anno di nuovo in Italia, nella scuola che ho messo come prima scelta al concorso SSM e mi trovo molto bene, sotto molti punti di vista. Sono entrato in una Scuola, come accennavo, che è il top per quello che voglio fare, l’ho scelta per questo, non sono tornato nei miei luoghi di origine o nella città della mia prima specializzazione dove ho tutti i miei amici. Non escludo categoricamente di tornare in Germania in un futuro a lavorare (anche se lo ritengo piuttosto improbabile, rimanendo tra l’altro la diffidenza nei confronti di un Paese (sorprenderà saperlo) in cui il mobbing sul lavoro non è né reato né ci sono reali concrete tutele contro di esso – diversamente dall’Italia), ma dovrei avere ovviamente delle garanzie granitiche che mi tutelino da quello che mi è capitato e in nessun caso giocherei al ribasso rispetto a quello che potrei avere complessivamente in Italia sotto il profilo lavorativo, dove la situazione nella mia percezione è da me più controllabile. In Germania alla fine ero arrivato a un punto in cui mi ero reso conto che mi stavo infliggendo un inutile tormento: avevo scelto una strada più lunga e ardua per una meta per la quale c’era una strada più semplice, quel surplus di difficoltà che dovevo sopportare non mi dava, nella mia percezione, nessun altro vantaggio se non un maggiore guadagno stipendiale, cosa che a lungo andare ho iniziato a considerare davvero molto relativa: non vedevo cioè più la ragione di spendere così tante energie per un obiettivo che potevo raggiungere, a parità di opportunità formative e lavorative, in patria: questo guadagno stipendiale non era più un gioco che valesse la candela.

Nessuno torna in Italia dopo che è stato all’estero e chi torna lo fa per nostalgia. Falso. Chiudo con delle considerazioni un po’ sentimentali: quando ho iniziato a riflettere su tutte queste cose e ho capito che in fondo la Germania era molto lontana dall’essere quella situazione di miglioramento professionale al quale ambivo, la parte più difficile era capire se stessi sbagliando io in queste valutazioni: in un mondo in cui oramai se non vai all’estero non sei nessuno, in cui tutti dicono che se vai all’estero non torni più per quanto ti troverai bene e l’unico problema sarà la nostalgia del sole, del mare e della parmigiana di mammà, un mondo italiano in cui veniamo culturalmente bombardati su quanto sia vincente l’espatrio e ci convinciamo fermamente di questa rappresentazione manichea di un estero ricco, fiorente, in cui regna la meritocrazia e quasi non esistono favoritismi e surrettizi intrighi fatti di scorrettezze, rispetto ad un Italia decadente, povera e per vecchi e a questa semplice narrazione ci crediamo perché non è problematica e ci sottrae dalla difficile incombenza di esaminare situazioni più complesse e di distinguere caso per caso e allontana quel messaggio impopolare, bizzarro e indigesto per cui anche all’estero possono sfruttarti, facendoti fare la scimmia straniera, anche se ti pagano di più (o per converso anche in Italia puoi avere buone possibilità di lavoro, guadagno e formazione). Tutto questo perché, credo, proprio come i tedeschi sono disperatamente imbevuti di una certa tendenza ad autoincensarsi (spesso immotivatamente), anche noi italiani siamo imbevuti di un’inversa tendenza all’autosqualificazione e all’esterofilia, nella mia percezione, anche qui, un po’ esagerata. Il passo più difficile per me, per poter tornare, è stato liberarmi da questi pregiudizi e dal conseguente senso di fallimento che ne era derivato. Senso di fallimento esacerbato da commenti sommari e ruvidi di alcuni colleghi, quando ho detto loro che tornavo in Italia: la tentazione di riassumere il ritorno in Italia con l’idea del non avercela fatta, dell’aver mollato, di essere tornato indietro è sempre in agguato, a coloro che mi hanno criticato in questo modo ho fatto presente che il mio fine era ed è diventare uno specialista competente nella branca che ho scelto, non ottenere la cittadinanza tedesca, che insomma a me interessava acquisire delle competenze, a prescindere dal luogo: se l’Italia è in grado di darmele perché devo mortificare la mia esistenza mettendomi in una condizione immotivatamente più frustrante? Quando sul gruppo dei medici italiani in Germania sono intervenuto accennando a queste mie esperienze e al ritorno, accanto alla solita schiera di entusiasti, talora fanatici, dell’estero (molti dei quali curiosamente non hanno mai fatto una specializzazione in Italia ma la giudicano come se l’avessero fatta), mi ha fatto molto piacere che diversi colleghi mi contattassero in privato per un confronto, perché anche loro desiderosi di tornare per i diversi motivi, che in nessun caso, posso dire, erano inerenti a situazioni di nostalgia, ma piuttosto a disagi lavorativi di varia natura, affini a quelli che ho avvertito io. Mi riconosco molto in chi vorrebbe tornare ma ha paura di farlo (tra le altre cose, io avevo paura della sensazione di fallimento e del giudizio degli altri) spero che questo mio lungo intervento possa essere per loro in qualche modo di aiuto.   

Un caro saluto e grazie.

Elle


[1] “Credo sia importante fare una breve digressione per approfondire brevemente questo rapidamente transitoria: la specializzazione italiana ha una durata definita tra i 4 o i 5 anni a seconda delle branche, secondo il decreto-legge 30 aprile 2019 n. 35, le aziende ospedaliere del SSN possono assumere medici specializzandi durante gli anni di formazione specialistica (a partire dal terzo anno in poi), con contratto subordinato a tempo determinato e orario a tempo parziale, (che può essere ad esempio un 80%, perché nel restante 20% si presta servizio nella sede centrale della propria specializzazione, da me funziona così). Il compenso mensile ammonta circa a €2.200 netti al mese, non cumulabile con la borsa di specializzazione, tuttavia il trattamento economico è proporzionato alle prestazioni assistenziali e vengono assicurate le voci retributive previste dal CCNL della dirigenza medica e sanitaria del SSN (stipendio tabellare, indennità di specificità medica, indennità di esclusività, indennità legate alle particolari eventuali condizioni di lavoro, eventuali retribuzione di risultato, retribuzione di posizione in relazione all’eventuale incarico conferito). A partire dal terzo anno in poi, significa che sono solo i primi due anni di specializzazione che trascorri nella condizione più problematica.  Ora mi si dirà che le condizioni retributive e di trattamento in generale in Germania rimangono ancora superiori. Concordo, è però onesto nell’inquadramento generale non omettere di considerare l’introduzione di questi miglioramenti, che fin troppo spesso vengono trascurati per dar contro, in un modo un po’ troppo parziale, al sistema italiano.”