Stato dell’arte dei medici italiani all’estero

Questo è il mio articolo pubblicato su “Sanità 24 – il Sole 24 Ore” del 4 Dicembre 2023. E’ stato editato con il titolo «Io, “expat” in Germania in fuga dalla burocrazia, bassi stipendi e aggressioni».

Egregio Direttore,


ho avuto modo di leggere sul suo quotidiano l’intervista al dottor Piracci e l’articolo della dottoressa Gobbi a proposito dei medici che vogliono andare a lavorare all’estero. Sono anch’io “medico ed expat” e vorrei aggiungere alla discussione la mia esperienza di medico italiano in Germania.


Concordo pienamente con il mio collega quando afferma che dal punto di vista qualitativo, il sistema sanitario italiano è uno dei migliori al mondo. Tuttavia, il motivo principale che spinge molti di noi medici a cercare opportunità all’estero è la presenza di una burocrazia obsoleta, retribuzioni insufficienti e prospettive di carriera limitate.


Ogni volta che torno in Sicilia per le vacanze, mi viene detto: “Quando tornerai? In ospedale qui da noi abbiamo un disperato bisogno di medici! “
Queste parole toccano il cuore, e l’istinto a dare una mano alla propria terra natale prevale.


Tuttavia, quando cerco di capire come fare per rientrare, m’imbatto in una realtà frustrante. Ad esempio, nel mio caso ad Agrigento, per avviare un bando di concorso sono necessari diversi anni. Poi, altrettanti anni sono richiesti per valutare le domande e selezionare il candidato vincente, tutto questo per un contratto a tempo determinato. Senza contare i problemi legati all’aggressione al personale sanitario, per i quali ancora mancano i provvedimenti legislativi adeguati.


In Germania, invece, i bandi vengono emessi in pochi giorni, la selezione avviene attraverso colloqui, valutazione dei titoli e del catalogo operatorio. Inoltre, in Germania si offre spesso un contratto a tempo indeterminato, con uno stipendio triplo rispetto agli standard italiani e un elevato livello di sicurezza sul lavoro, che in Italia possiamo solo sognare.


È stato recentemente riportato che nell’ospedale di Sciacca, la mia città natale, le attività d’urgenza nel reparto di Ortopedia sono state sospese, costringendo i pazienti a essere trasferiti nel nosocomio del capoluogo di provincia. Tuttavia, considerando che il primario è responsabile di due strutture, è costretto a lavorare tre giorni alla settimana a Agrigento, esponendosi a rischi come cantieri stradali, incidenti e stress, senza alcuna indennità aggiuntiva.


È importante notare che il territorio del Libero Consorzio di Agrigento conta circa 434.870 abitanti, inclusi i territori di Lampedusa e Linosa, e che l’ospedale di Sciacca è tra i primi dieci ospedali italiani per la sua eccellenza nel trattamento delle fratture del femore, secondo dati Agenas, l’Agenzia nazionale per i Servizi sanitari regionali. Tutto ciò rende la situazione ancora più paradossale.


La situazione si fa ancora più surreale quando apprendo che la stessa Asp ha assunto medici stranieri a tempo determinato. Senza mettere in discussione le loro competenze professionali, mi chiedo se abbiano dovuto affrontare lo stesso percorso burocratico e linguistico che noi medici expat abbiamo dovuto superare per ottenere l’abilitazione medica.
In Germania, per ottenere la “Deutsche Approbation” (l’abilitazione medica tedesca), è necessario possedere una certificazione linguistica di livello C1 e superare un esame di tedesco medico presso l’ordine dei medici competente. Solo in seguito si può richiedere un colloquio di assunzione in un ospedale tedesco, e per i medici specialisti si parla sempre di contratti a tempo indeterminato.


Inoltre, nuove opportunità si stanno aprendo in paesi come Bahrain, Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che offrono compensi molto allettanti per i medici. Indubbiamente, tali offerte sono strettamente legate alla qualità della vita offerta in quei paesi.
Ciò mette ulteriormente in pericolo il nostro già impoverito Sistema sanitario nazionale poiché potrebbe continuare a perdere preziosi professionisti di fronte a queste allettanti prospettive.


Ritengo che garantire una giusta retribuzione e la sicurezza dei professionisti sanitari sul posto di lavoro, riconoscendo il loro ruolo fondamentale nella società odierna, sia fondamentale per cercare di contrastare questa emorragia di talenti.


Cordiali saluti,
Gian Marco Rizzuti

Perché i medici in pensione sì e i giovani medici no?

Questo è il mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 4 aprile 2019. E’ stato editato con il titolo “Per i medici specializzandi servono più strutture”.

Egregio Direttore,

sono Gian Marco Rizzuti, un giovane medico specializzando in Germania e titolare del blog “Sagen Sie 33”. Le scrivo in merito al dibattito che c’è in corso in Italia sulla situazione del Sistema Sanitario Nazionale, anche in forza all’entrata in vigore della cosiddetta “Quota 100”. Di recente si sente parlare di riassumere medici in pensione per coprire i vuoti in organico o addirittura di fare arrivare medici rumeni e polacchi, come se mancassero i giovani medici italiani. A mio modo di vedere invece, si dovrebbe non solo aumentare il numero delle borse per l’accesso alle specializzazioni e fare in modo di consentire pure a chi non è specializzato di essere assunto. In verità il problema è nato a causa dell’“imbuto” che si è venuto a creare per il fatto che escono dalle nostre università 10 mila medici l’anno e solo 6 mila trovano posto nelle specializzazioni. È lì il problema!

Bisognerebbe accrescere oltretutto il numero dei centri formativi abilitando alla specializzazione, oltre alle strutture legate alle Università, anche gli ospedali regionali, provinciali e zonali, come in Germania.

L’Università italiana, qualunque cosa se ne dica, è valida e riesce a formare tantissimi giovani medici che, mentre in Italia sono costretti a segnare il passo, vengono assunti puntualmente dagli ospedali europei. Come mai?

Trattasi quindi di una vera e propria “regalia” di tanti medici che prima l’Italia forma, peraltro a costi molto alti (sia per lo stato che per le famiglie) e poi li costringe ad andare via a trovare lavoro all’estero, dove sono molto apprezzati, mentre le corsie italiane sono praticamente vuote. È giusto e normale questo stato di cose? Io dico di no. Più che altro sembra una follia!

Voglia quindi la classe politica trovare una soluzione a questo grosso problema che investe la Sanità Italiana e quindi tutti noi! GRAZIE!

Questo servirebbe ad evitare la cosiddetta “fuga di cervelli”, che poi fuga non è, in quanto se la gente trovasse in Italia condizioni di lavoro dignitose rimarrebbe ben volentieri nel Bel Paese senza essere costretti a studiare un’altra lingua, conoscere altri usi e costumi e vivere in altro clima. Ci impegniamo a porre rimedio a questo stato di cose?

Gian Marco Rizzuti