ATLS-Kurs – Advanced Trauma Life Support

Moin Moin a tutti!

Lo so, è passato tanto tempo dall’ultimo articolo, ma la mole di lavoro in ospedale è diventata parecchio elevata e non ho veramente avuto l’opportunità per dedicarmi al blog.

In questo periodo mi sto dando anche da fare per strutturare la mia Weiterbildung in maniera ottimale per quello che vorrei fare in futuro, prendendo anche delle “specializzazioni aggiuntive”, ma di questo parlerò in seguito.

Come ho scritto nell’ articolo “Die Fortbildungen” è importante seguire tali corsi di formazione, molti dei quali purtroppo, nell’arco degli ultimi anni a causa della pandemia, sono stati annullati o drasticamente ridotti di numero.

Uno dei più formativi è certamente l’ATLS-Kurs. La sigla “ATLS”deriva dalle iniziali di Advanced Trauma Life Support che significa “supporto vitale avanzato nel traumatizzato”.

È un corso di formazione intensivo che permette di imparare un trattamento adeguato e standardizzato molto utile nella prima ora dopo l’evento traumatico. Alcuni studi sostengono che questo “algoritmo” ha il massimo impatto sul risultato finale, in termini sia di mortalità che di morbilità.

È un corso che dura in Germania un paio di giorni ed è così strutturato:

  • Il primo giorno è caratterizzato dalle lezioni teoriche inframezzate da dimostrazioni pratiche e discussioni di gruppo.
  • Il secondo giorno si riassume ciò che si è visto la giornata precedente con delle esercitazioni basate su scenari clinici, seguite poi da una prova scritta e da una prova pratica finale.

Nota Bene: Per la preparazione al corso è indispensabile un accurato studio preventivo del manuale che viene fornito ai partecipanti almeno tre settimane. In Germania viene fornito esclusivamente in lingua inglese.

Il post-test scritto è costituito da 40 domande a scelta multipla; per superare il seminario è necessario rispondere correttamente ad almeno l’80% delle domande.

Sulla base delle normative anti-Covid vigenti, tutti noi eravamo divisi per piccoli gruppi, con distanziamento e mascherina.

È in sostanza un “crash course” che offre ottime skills di base, utile sia a chi lavora giornalmente in Pronto Soccorso, ma anche a chi ha intenzione di lavorare a bordo delle ambulanze o a chi vorrebbe ottenere la sub-specializzazione in “Notfallmedizin” (la Medicina di Urgenza ed Emergenza).

È stata in ogni caso una bella esperienza! Unica pecca: il costo veramente molto elevato (circa 2000 Euro)!

Gian Marco

La Quarta Ondata

Questo è il mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 23 Novembre 2021. E’ stato editato con il titolo «Io, medico in Germania contro i negazionisti».

Gentile Direttore,

Sono un medico che lavora in Germania e titolare del blog Sagen Sie 33.

Venerdì il direttore sanitario del centro dove lavoro ha dichiarato che, essendo entrati nella quarta ondata, torniamo in «Katastrofe-Mode». Qui l’incidenza del Coronavirus (nel momento in cui scrivo) è di 387 per 100 mila abitanti. Ieri ci sono stati circa 30 mila contagi e 60 morti. Secondo alcuni analisti si andrà in lockdown a metà dicembre e si parla di introdurre l’obbligo vaccinale da marzo 2022.

I motivi di questo aumento? Sono principalmente nel background culturale di omeopatia, negli Heilpraktiker (i medici empirici) e nell’ideologia del «sopravviva il più forte».

Leggevo da più parti che questo substrato culturale antiscientifico si chiama «Darwinismo sociale», corrente di pensiero che tende a vedere la società umana regolata dalle stesse leggi del mondo animale e naturale, la cosiddetta lotta per la sopravvivenza.

In pratica ci sono molte persone che pensano che chi muore per «una semplice polmonite» è destinato in ogni caso a morire.

Stiamo parlando della Germania che, citando il giornalista Udo Gümpel, è «da un lato un Paese con il massimo numero di Premi Nobel in Fisica, Chimica e Medicina, dall’altro lato pieno di Schwurbler, i negazionisti incalliti di ogni evidenza scientifica». Non è quindi un caso che in tutti e tre i Paesi tedescofoni (anche la provincia di Bolzano), ci siano percentuali basse di vaccinati e un alto numero di infetti. L’unica soluzione, sanitaria e politica, è l’obbligo vaccinale.


Gian Marco Rizzuti

„Notarzt-Kurs“- Corso di formazione per il medico del Servizio Sanitario di Urgenza ed Emergenza Medica

Salve a tutti!

Piccola nota di servizio: ho deciso che aggiornerò il blog ogni due o tre mesi, a causa dell’elevata mole di lavoro in ospedale (leggasi “la pandemia non è ancora finita”).

Ovviamente non sono rimasto a girarmi i pollici ma vado pian piano raccogliendo gli aneddoti più interessanti per continuare il ciclo dei “Racconti dalla trincea”.

In questo periodo mi sto dando anche da fare per strutturare la mia Weiterbildung in maniera ottimale per quello che vorrei fare in futuro.

Come ho scritto nell’ articolo “Die Fortbildungen” è importante seguire tali corsi di formazione, molti dei quali purtroppo, nell’arco degli ultimi due anni a causa della pandemia, sono stati annullati o drasticamente ridotti di numero.

Tuttavia quest’anno sono riuscito a farne tre. Uno dei più formativi è certamente il Notarzt-Kurs.

Come dice lo stesso nome, è un corso di formazione intensivo che ha come obiettivo quello di formare medici per il servizio di ambulanza medica (in Italia volgarmente detto “Medico del 118”).

È un corso che dura circa una settimana ed è così strutturato:

  • Al mattino ci sono le lezioni teoriche: 45 minuti per argomento e ogni 90 minuti pausa di mezz’ora (la pausa pranzo dura invece un’ora e mezza).
  • Al pomeriggio, invece, si svolgono lezioni pratiche: queste sono le più stimolanti perché si parte con le esercitazioni sul manichino fino ad arrivare a delle vere e proprie simulazioni di disastri ambientali.

Sulla base delle normative anti-Covid vigenti, tutti noi eravamo divisi per piccoli gruppi – con distanziamento e mascherina – ed è chiaro che alcuni svolgevano le attività pratiche al mattino piuttosto che al pomeriggio.

È in sostanza un “crash course” che offre molte ottime skills di base, ma è secondo me più adatto a chi ha intenzione davvero di lavorare a bordo delle ambulanze o a chi ha intenzione di prendere la sub-specializzazione in “Notfallmedizin” (la Medicina di Urgenza ed Emergenza).

Personalmente l’ho frequentato in quanto non ho trovato lì per lì il posto in un corso molto più adatto a un traumatologo, l’ATLS-Kurs, sul quale mi esprimerò in un altro post.

È stata in ogni caso una bella esperienza e, per quanto riguarda il rapporto costi/esperienza formativa, assolutamente da provare!

Gian Marco

Racconti dalla Trincea – Saturday Night Never

Sabato, turno notturno “alla tedesca” (15:30 – 08:00)

I turni notturni nel periodo Covid sono stati stressanti in quanto si è avuto a che fare proprio con la bestia maledetta ma, dato che fino a qualche settimana fa c’è stato il coprifuoco e quindi i pazienti venivano in PS solo per le gravi emergenze, il lavoro bene o male procedeva.

Adesso, con le prime aperture e l’abolizione del coprifuoco, il Notaufnahme è diventato un porto di mare.

Intendiamoci, il pronto soccorso un porto lo è sempre stato, solo che con questa Pandemia e con i rigidi divieti imposti dai governi, la gente ha perso pian piano la ragione e ora non appena vede uno spiraglio di apertura vi si getta a capofitto.

Un esempio è il signor Mutanden che proprio un sabato ha deciso di: ubriacarsi a più non posso, ritornare fino a casa in bici per la strada statale (!), aprire la porta, scivolare, battere la testa e risvegliarsi nel nostro Triage ricoperto di vomito e altri tipi di fluidi più o meno densi e “profumati” provenienti dal suo corpo.

Naturalmente, il signor Mutanden, espletati i dovuti accertamenti, voleva andarsene a casa, ma giacché barcollava ancora, gli abbiamo detto che sarebbe stato più opportuno se si fosse fatto una bella endovenosa di soluzione fisiologica prima di andare via. Opponendosi pure a questa soluzione, gli abbiamo posto un ultimatum: “o si beve queste due belle bottiglie di acqua o altrimenti da qui non esce”. 

Con stoica e caparbia cocciutaggine, ha cominciato a bere quell’acqua con la stessa voglia di un condannato a morte sul patibolo. Ovviamente ha fatto tanta “plin plin” poco fuori l’ospedale (?) prima di andarsene definitivamente.

Un altro esempio è la giovane Kimberly che, a seguito di un lunghissimo litigio col suo ragazzo, nel modo di uscire di casa è inciampata da sola e, dopo essere stata visitata ed avere ricevuto i risultati delle radiografie, scopre di essersi distrutta entrambe le caviglie (!). Prospettandole un probabile intervento ad almeno una delle due gambe, mi chiede se sentirà qualcosa durante l’operazione e io le rispondo che, durante la battaglia di Waterloo, un medico francese ha amputato la gamba di un soldato nell’incredibile tempo di 90 secondi netti.  

Dominique-Jean Larrey, medico francese che servì come capo chirurgo nell’esercito francese.

Mi guarda fisso per 10 secondi, poi scoppia a ridere. La mia faccia però rimane seria…se nun ce se diverte a lavoro, la vita diventa na galera!

Gian Marco

Cchiù scuru di mezzanotti un pò fari

Come sempre, ho avuto in questi giorni pochissimo tempo per me e per il blog, così approfitto di una momentanea “pausa forzata” per cercare di fare il punto dello stato in Germania dopo un anno di Pandemia.

La situazione qui è ancora dura, purtroppo siamo ancora in “modalità catastrofe” (neanche fossimo in un film della Marvel). Si operano prima di tutto i pazienti urgenti, si lavora sempre con mascherina FFP2 e bardati dalla testa ai piedi, ma gli altri malati– quelli non urgenti per capirci – non sono stati dimenticati e sono trattati su appuntamento.

tratto dal film “28 giorni dopo”…la situazione attuale non è tanto diversa!

Il lockdown poi è stato prolungato fino al 28 marzo, tuttavia è molto probabile che continuerà fino ad almeno dopo Pasqua.

Per quanto mi riguarda, sto finendo l’ennesimo periodo di turnazione in chirurgia generale, dopodiché andrò in terapia intensiva, in modo che possa entrare nella fase conclusiva del mio percorso formativo. Entro l’anno dovrei ottenere anche la sub-specializzazione in “Notfallmedizin” (cioè medico di emergenza-urgenza).

Ho effettuato il vaccino anti-Covid con successo. Ho avuto solo un po’ di debolezza muscolare ma per il resto nessun altro problema.

Per il resto vivo la mia vita fra un turno “no limits” ed un altro, come chiunque lavori in ospedale attualmente.

Per evitare assembramenti nei mezzi pubblici e soprattutto i ritardi della Deutsche Bahn, ho preso finalmente un’auto, anche se fra neve e trombe d’aria non è sempre stato semplice viaggiare.

Sono sceso in Italia per Natale, naturalmente con le dovute precauzioni. Mi ha fatto piacere aver rivisto gli affetti più cari in salute anche se ovviamente spaventati dalla Pandemia.

In merito al futuro, “Più buio di mezzanotte non può fare” (tratto del siciliano “Cchiù scuru di mezzanotti un pò fari”) e quindi sono fiducioso che le cose miglioreranno.

Certo, la nostra vita ormai non sarà più come prima, le persone che ci hanno lasciato non potranno tornare indietro, ma dobbiamo essere noi per primi a cercare di ripartire e di ricostruire.

La crisi dovrà essere un’occasione di trasformazione, un momento di opportunità per ritrovare i valori profondi della vita (anche di quelli del passato che possiamo rivisitare), per elevare l’importanza della ricerca scientifica e della tutela della salute.

Gian Marco

La vaccinazione contro il Covid-19 in Germania: considerazioni varie dopo un anno di pandemia

Innanzitutto…Buon Anno! I mesi di dicembre e gennaio, finora, sono stati un così continuo susseguirsi di turni notturni e turni no limits che, praticamente, solo ora sto prendendo un attimo di respiro (finalmente 5 giorni di day off!).

Dopo diversi ritardi dovuti al trasporto delle fiale, proprio ieri nel mio ospedale è cominciata la campagna di vaccinazione del personale sanitario. Martedì sera avevo finito il turno no limits e, poco prima di tornare a casa, un messaggio del mio Chef sul gruppo WhatsApp del mio reparto ci avvisava che domani ci saremmo dovuti presentare nella tarda mattinata per effettuare il primo richiamo.

Di conseguenza l’indomani, nonostante fossi abbastanza distrutto dal precedente turno, mi sono naturalmente recato a lavoro.

Geimpft!

Non vi nascondo che in me c’erano diverse emozioni.

Fra me e me pensavo che finalmente si stava cominciando a vedere la luce in fondo al tunnel di questa “guerra”.

Da un altro punto di vista riflettevo anche sul fatto che proprio ora non si deve abbassare la guardia.

Ci aspettano ancora mesi difficili e credo che tutta la campagna vaccinale prenderà il 2021 nel suo insieme, o quantomeno fino a settembre.

Per chi come me è al “fronte”, sono stati mesi molto duri: i vari lockdown, l’evitare volontariamente i contatti umani e l’abominevole routine hanno portato molti di noi al limite.

Alcuni si sono salvati ricevendo continuo sostegno da parte di familiari, amici, colleghi e anche da figure specializzate. Molti altri no. Purtroppo una “guerra” porta a svelare il vero volto delle persone e questo implica delusioni e mancanze che molti non riescono a superare.

Quindi quello che consiglio a chi è più solo è: non mollare!

Oggi più che mai, bisogna cercare la compagnia di gente che ci distragga la vita.

Allora: mandate quel messaggio, fate quella chiamata! La voce umana resta davvero il “social” più vivido.

Ma soprattutto…ridete! Una risata probabilmente non debellerà i problemi personali, la pandemia o altro…ma aiuterà a farci rimanere a galla.

Gian Marco

La situazione della Germania nel periodo della pandemia di Covid-19

Questo è una mia intervista pubblicata sul sito Fanpage.it il 28 settembre 2020. E’ stato pubblicato con il titolo “Perché Italia e Germania non rischiano come la Francia: il racconto di un medico italiano all’estero”.

“Gian Marco Rizzuti, siciliano, è medico nel lander della Westfalia. E racconta di come la Germania ha affrontato la seconda ondata della pandemia: servizi di chiamata centralizzati, Tac in tempo reale, e mini lockdown tempestivi: “I tedeschi guardano all’Italia con grande ammirazione: avete affrontato la pandemia con grande dignità”.

Foto presa dal mio profilo Instagram


Gian Marco è siciliano ma fa il medico in Vestfalia, precisamente nella città di Ibbenbüren. Vive fuori dall’Italia dal 2016 e ha scelto di allontanarsi dal suo Paese per investire nella sua formazione e per le opportunità lavorative che offre la Germania. La sua famiglia si divide tra Italia e Polonia, precisamente Cracovia. Durante l’emergenza Covid-19, Gian Marco è stato uno dei tanti medici in prima fila nella lotta al virus, anche se nell’ospedale tedesco Klinikum Ibbenbüren. Adesso, dopo una prima ondata da milioni di infetti, la situazione in Germania sembra più o meno sotto controllo. Nonostante questo, per una ipotetica seconda ondata dei contagi, tutti i medici sono chiamati a gestire l’emergenza come potenziali specialisti Covid.

Prima dell’arrivo della pandemia di cosa si occupava?
Sono specializzando in ortopedia e traumatologia. Durante le fasi più dure dell’epidemia, tutti noi dovevamo occuparci di tutto, anche se il nostro campo di specializzazione è ben specifico. Anche noi specializzati in ambito chirurgico eravamo a stretto contatto con i pazienti Covid, anche se normalmente abbiamo il nostro settore d’azione.

Le strutture tedesche come smistano i pazienti Covid?
Le autoambulanze chiamano i coordinatori del pronto soccorso, normalmente sono infermieri specializzati, e li avvisano che in pochi minuti arriverà in ospedale un paziente con sospetto Covid. A quel punto, l’infermiere avvisa il medico di turno che si attrezza dei dispositivi di sicurezza personale e sale sull’ambulanza per effettuare visite, prelievi ed emoculture. Il tutto viene svolto direttamente sul mezzo di soccorso, poi il paziente viene smistato nel reparto Covid preposto. Noi medici completiamo una procedura di registrazione al computer e ordiniamo una TAC al torace il cui risultato arriva in tempo reale.

Per essere specializzati avete seguito dei corsi particolari?
Dei veri e propri corsi di formazione Covid. Le infermiere sono state formate dalla stessa azienda ospedaliera, per esempio. Si tratta di corsi teorici di breve durata. Qui ci basiamo molto sull’imparare sul campo. Gli operatori del pronto soccorso che si occupano di prelevare i pazienti invece sono vigili del fuoco e sono già formati per gestire questo tipo di emergenza.

Anche la Germania quindi dispone di reparti specifici?
Certo, ma abbiamo predisposto che in una ipotetica seconda fase catastrofica, qualunque stanza dell’ospedale può diventare al bisogno una stanza di terapia intensiva.

La situazione dei contagi attualmente è simile a quella italiana?
No, penso sia migliore. Qui abbiamo avuto come in Italia dei contagi di ritorno, gestiti però in un’altra maniera. Sono stati subito messi in quarantena i singoli paesi o le province. Tuttavia c’è da dire che, dall’inizio dell’epidemia, la Germania guarda il nostro Paese per le linee guida da applicare per evitare il collasso delle strutture ospedaliere.

Perché guardare proprio alla sanità italiana? Per via dell’esperienza pregressa col Coronavirus?
No, diciamo che in un momento di tempesta, l’OMS non è stata abbastanza chiara e precisa nel fornirci un modello da seguire. Abbiamo tutti guardato all’Italia perché nonostante il disastro del lockdown, alla fine è riuscita a invertire la curva del contagio. Ha resistito con grande dignità.

Quindi i nuovi focolai secondo lei non sono un fattore di rischio così importante?
Certo che lo sono, ma possono essere tenuti sotto controllo. Per esempio, la situazione della Sardegna doveva essere gestita in altro modo: in Germania si è verificato qualcosa di simile in provincia di Gueterslohin. Qui l’intero staff di un macello era positivo al Coronavirus, parliamo di migliaia di persone. Il primo provvedimento preso dal governo è stato quello di rendere l’intera provincia zona rossa sottoponendola a un mini lockdown di due settimane per poi individuare gli infetti e accertare le responsabilità penali. Lo stress subito dall’Italia però è stato forse il più importante in Europa.

Cosa si poteva gestire in maniera più efficiente secondo lei?
Secondo me bisognava investire maggiormente sulla formazione sulla formazione di personale medico e paramedico. Questo in Germania ma soprattutto in Italia. Non ha senso creare a Milano un padiglione con 100 posti letto se non si ha il personale formato. Eppure ci sono tanti ragazzi che per studiare sono andati all’estero. C’è il blocco per quanto riguarda la specializzazione, in più il personale italiano preposto alla terapia intensiva è di dimensioni esigue. Ancora adesso, nonostante i tentativi di formazione frettolosa, non ci sono numeri sufficienti per gestire un’emergenza in terapia intensiva. I momenti di stress sono stati tanti per i medici appositamente formati, immagini per chi non ha mai messo piede in un reparto di terapia intensiva fino a qualche mese fa

Anche i medici tedeschi avranno vissuto momenti di grande tensione. Lei che è italiano e lavora in Germania?
Ho sentito molto la tensione, ovviamente. La mia famiglia si trova in Sicilia e non torno nel mio Paese da Gennaio. La mia azienda ospedaliera ha istituito un numero di servizio da contattare per poter fare affidamento su un supporto psicologico che ci aiuti a gestire la sensazione di impotenza davanti a tanta sofferenza nelle terapie intensive. Il più grande sostegno per me sono stati i colleghi e il primario. C’è solo un’italiana qui, ma i miei colleghi mi hanno capito alla perfezione nonostante i nostri vissuti in quel momento rendessero i nostri dolori abbastanza diversi. Mi sono stati vicino come se fossimo tutti italiani all’estero.

Qualche suo collega italiano è tornato in patria per dare una mano contro l’epidemia?
Qualcuno ha espresso questo desiderio, sì, ma non ci ha richiamati lo Stato. Il tutto era su nostra iniziativa, ovviamente a nostre spese, ma la burocrazia ha rallentato anche coloro che hanno fatto domanda per rientrare in Italia.

La burocrazia anche in una situazione come quella verificatasi a marzo?
Sembra incredibile, ma anche in un momento del genere ha rappresentato un bell’ostacolo per i nostri medici che volevano tornare negli ospedali italiani.

Pensa che la Germania e l’Italia possano subire un’impennata dei contagi come la Francia?
Non possiamo fare previsioni certe. Speriamo che tutto vada per il meglio. Quello che so è che la Francia ha gestito la situazione in maniera diversa e forse in modo più refrattario. Anche adesso non sono propensi a mini-lockdown e la situazione delle scuole continua a stare in equilibrio sul “tutti a casa solo se ci sono 3 positivi in aula”. Così la situazione non può che peggiorare.

Gabriella Mazzeo”

Racconti dalla Trincea – I turni “No Limits”

La Vestfalia viene considerata un po’ come la Lombardia tedesca: Land molto ricco, tantissime opportunità di lavoro, chi viene dal di fuori è un “giargiana”!

In questo senso anche il ritmo lavorativo è molto lombardo.

Come vi avevo già accennato, nel mio ospedale abbiamo un tipo di guardia che consiste nel lavorare 12 ore (08:00 – 20:30) per quattro giorni consecutivi (48 ore lavoro netti), seguiti poi da tre giorni di “Day Off”.
Se questa guardia, ad esempio, cade fra lunedì e giovedì, il carico di lavoro almeno fino alle 16 è dimezzato perché ci sono anche gli altri colleghi traumatologici del turno normale. Alle 15:30 poi monta il Kollege che fa la notte e in più c’è l’altro medico di guardia che fa il turno di 24 ore per le altre branche chirurgiche (generale/viscerale, toracica, urologica).
Quindi non si è mai da soli. In teoria.
Se invece questa guardia cade fra venerdì e lunedì, come per puro caso è capitato a me lo scorso weekend, ecco che il carico di lavoro almeno raddoppia, perché dal mattino fino a che non arriva il collega del turno di notte si è da soli e occorre:

  • fare prelievi (le infermiere in Germania non possono fare “manovre invasive”, tranne le infermiere specializzate, che lavorano solo dal lunedì al venerdì);
  • cambiare i bendaggi;
  • inserire ago cannule e cambiare il piano terapeutico;
  • parlare con gli eventuali parenti dei pazienti (al telefono o di persona);
  • ultimo ma non ultimo, occuparsi del Pronto Soccorso, il fronte vero e proprio.
    Inoltre qui bisogna occuparsi, nel weekend:
  • del reparto di pre-riabilitazione (vi vengono spediti i pazienti qualche giorno dopo essere stati operati per iniziare la riabilitazione);
  • del reparto periferico (si tratta di pazienti che sono “per metà” traumatologici e perciò sono dislocati su altri piani per gestire al meglio le loro altre comorbidità);
  • di consulenze di vario tipo da parte di altri reparti o ospedali;
  • Varie ed eventuali.

È proprio su quest’ultimo punto che vorrei concentrarmi.

Alpinismo e Medicina hanno vari punti in comune

Le mie “Varie ed eventuali” di questo weekend sono state:

  • Parlare con i parenti di una paziente privata i quali, siccome avevano letto su Google di un nuovo tipo di sistema terapeutico per gestire il dolore, mi hanno “ordinato” (!) di cambiare l’organizzazione generale delle medicine (?). Sui pazienti privati e sui loro dolcissimi parenti dedicherò un post a parte.
  • Persone di qualsiasi età che cadono in qualsiasi maniera e in qualsiasi modo in qualunque momento del giorno o della notte e sbattono al 90% la testa. Ma dove vanno se è tutto chiuso e piove sempre?
  • Ustioni di vario genere su pazienti di ogni età, con annesso trovare un centro ustioni, chiedere se cortesemente hanno un letto libero e, previa conferma, trasferire il paziente in elicottero, cosa possibile SE, E SOLO SE, il paziente ha un ago cannula.
  • Il collega del turno di 24 ore (generale, toracico, urologico…vi ricordate?) è stato avvisato dal padre di un compagnetto del figlio che nel suo asilo è stato riscontrato un bambino positivo. Di conseguenza il collega ha fatto il tampone (anche al figlio) e nell’attesa del risultato non poteva fare nulla. Ergo, dovevo occuparmi io dei suoi pazienti. Dopo quattro ore di attesa in cui si è scoperto che sia lui che il figlio erano negativi, si è chiuso in sala operatoria per altre quattro ore. Potete immaginare il mio stato d’animo.
  • Leggere ad alta voce il referto radiologico di un paziente che era stato ricoverato da noi ma che in quel momento aveva avuto un incidente grave con la moto ed era stato ricoverato in un ospedale dall’altra parte della Germania dove né la risonanza né la TAC funzionavano bene. Allo stesso tempo l’Arzthelferin mi avvisava che nel giro di 10 minuti sarebbero arrivati due politraumi e che dovevo attivare lo Schockraum.
  • Lussazioni di Anca in paziente giovanissima, con annesso scazzo fra anestesista e infermiera sui moduli da stampare e scazzo fra le infermiere stesse su chi mi doveva assistere per i raggi post-riposizione (?).
  • Gli inesorabili ricoveri a fine turno. Con “inesorabili” ho già detto tutto!!!

P.s. sì, la verità è che sono anch’io un po’ imbruttito:

A presto,
Gian Marco

Racconti dalla Trincea – La Sposa, il Bambino, il Ladro

Spätdienst (15:30 – 08:00)

Come sempre, i turni di notte sono costantemente pieni di sorprese.

Musiche di Ennio Morricone

Durante un normale turno, dato che c’era un momento di tranquillità, stavo ammazzando il tempo portandomi avanti nella scrittura delle lettere di dimissioni (anche se per adesso lavoro fisso al pronto soccorso, le lettere da scrivere sono sempre divise fra tutti gli specializzandi).

All’improvviso sono entrate tre infermiere che scortavano una donna con un bambino in braccio: il piccolino si era scottato la mano in seguito al contatto con una “piastra da fonduta”.

Ovviamente lo abbiamo subito soccorso e solo dopo abbiamo chiesto delucidazioni. Domandandole infatti per quale motivo avesse usato una piastra di sabato pomeriggio ad agosto, la madre mi ha risposto che si trovavano nel momento di servire la fonduta durante un matrimonio.

Guardandola bene, la donna aveva indosso un abito nuziale, molto bello nella sua semplicità. Talmente semplice che nessuno si era accorto che fosse Lei la Sposa! Le abbiamo fatto ovviamente gli auguri e, rincuorandola con il dire che la scottatura del bambino era molto superficiale, se ne è andata con la stessa velocità con cui era arrivata!

Capita sovente, soprattutto durante il weekend, di avere a che fare con pazienti ubriachi, di qualsiasi età, nazionalità e sesso. Recentemente uno di questi, un tipo trovato in stato di semi incoscienza davanti ad una banca della città in cui lavoro, viene portato in pronto soccorso dall’ambulanza. Dato che parla arabo, l’infermiera addetta al triage decide che ad occuparsi di lui sia un altro mio collega piuttosto che io.

Passa una mezz’ora.

Mentre io sto visitando un paziente, questo collega entra trafelato nella saletta:

“Hai visto per caso il paziente che è stato portato qui poco qua con il Krankenwagen??”

Io: “No, sono stato sempre qui a fare le visite. Che è successo?”

Lui: “È scappato! L’ho visitato, gli ho inserito un ago cannula per dargli un po’ di fluidi e, dopo aver scritto la lettera, sono uscito dalla saletta perché un’infermiera mi ha chiamato. Mentre parlavo con lei, mi sono tastato e non avevo più addosso il mio smartphone. Ritorno in stanza e non solo non trovo il paziente ma neanche il mio telefonino! Ho tutti i miei contatti lì !!! Come faccio adesso??”

Mi congedo dal paziente che ho appena terminato di visitare e, esaminando di nuovo i fatti, ci dividiamo i compiti: lui chiama la sicurezza interna e la polizia, io invece “seguo le tracce”.

Per fortuna, quando un paziente arriva in ambulanza, i paramedici lasciano sempre un “Einsatz- und Reanimationsprotokoll”, cioè un documento su cui scrivono i dati del paziente, le modalità di soccorso, una breve anamnesi e le sue condizioni.

Subito noto che su questo foglio è riportato sia il suo domicilio che il luogo in cui è stato ritrovato. Usando Google Maps, io e il mio collega consideriamo che entrambi i luoghi sono vicini all’ospedale. Io che sono sul punto di “smontare”, data l’importanza della questione, mi offro di rimanere un po’ di più per coprire il Pronto Soccorso, mentre lui va a cercare il malcapitato.

Finale: il paziente non viene ritrovato (chissà dove si sarà cacciato), ma nel suo domicilio il collega scopre diversa refurtiva, tra cui il suo telefonino.

Homo homini lupus!

Gian Marco

Racconti dalla Trincea – I figli… so’ pezzi ‘e core

Domenica, Spätdienst (15:30 – 08:00). Come sempre, ultimamente.

Appena monto, mi accorgo subito che non è una bella giornata: ci sono tre pazienti che devono essere dimessi, ma nessuno dei miei colleghi ha scritto le Entlassungsbriefe.

Mi metto subito al lavoro e, non appena ho ultimato di stampare le suddette lettere, vengo chiamato in ZNA (“Zentrale Notaufnahme”, cioè il Pronto Soccorso).

Ultimamente i pazienti sono molti di più, complice il parziale “liberi tutti” da parte del governo tedesco.

Devo dire che sono anche diminuiti i pazienti con sintomi riconducibili al Coronavirus, anche se si devono ancora vedere gli effetti del post “Lockdown” anche qui. Staremo a vedere.

In ogni caso, si lavora come sempre senza sosta fino alle 23, allorché riesco ad andare nella stanza di guardia per lavarmi la faccia e rifocillarmi un po’.

Tutto tranquillo fino alle due e trenta, quando vengo chiamato per un “bambino con dolori al braccio”.

Mi rimetto velocemente il camice e nel frattempo il mio sistema nervoso/sistema operativo si riavvia dopo aver dormito mezz’ora scarsa (le infermiere del reparto chiamano sempre e per qualsiasi cosa!).

Entro nella stanza ortopedica e mi sento spiazzato.

Bambino (Bud Spencer) mentre fa il bagno (“Continuavano a chiamarlo Trinità”, 1971)

Il “bambino” era un omone di 2 metri e di circa 30 anni, affetto da autismo e con un braccio spastico a causa di una vecchia lesione. È accompagnato dalla madre, che in confronto a lui sembra una donnina piccolissima.

Proprio lei mi racconta cos’è successo: tutta la sera suo figlio aveva fatto i capricci nel non andare a dormire perché aveva proprio dolore al braccio lesionato.

Facendomi aiutare da lei e dall’infermiera, riusciamo a circoscrivere il dolore alla mano, in particolare proprio alla base. Nonostante la visita e noi persone estranee, l’Omone è molto collaborativo.

Dopo diverse prove e manovre, la parte interessata non risulta dolorante alla pressione o alla percussione.

La madre è basita, perché certa di quello che diceva, ma anche lei ha dovuto constatare il fatto che il figlio non avesse alcunché.

“Senza sapere né leggere né scrivere”, come diciamo da noi in Sicilia, faccio comunque un bendaggio con pomata. Nel mentre l’infermiera di turno, sicuramente troppo stanca e non avendo dormito, ammonisce in maniera un po’ pesante la madre, sostenendo che queste non sono emergenze, che era evidente che il figlio stava facendo i capricci e che in ogni caso poteva aspettare fino all’indomani dove erano presenti tutti i medici, dal Primario in giù.

A quelle parole la madre si sente tremendamente imbarazzata e si mette a piangere.

Ammonendo con lo sguardo l’infermiera, mi avvicino alla signora e le dico: “non si preoccupi, lei non lo poteva sapere, probabilmente suo figlio ha avuto un incubo riguardo l’incidente che ha subito e lei, avendo il dubbio che potesse essere un’altra complicazione, giustamente l’ha portato qui. Per me, quando un problema riguarda i figli, è sempre un’emergenza”.

Allora lei mi guarda e mi rivolge un sorriso “da madre”, uno di quelli che ti scioglie il cuore.

L’infermiera stressata si scusa immediatamente con lei per le parole e il tono usato, ma la madre, da vera signora, la interrompe, dicendo di capire che cosa intendesse dire prima.

Poi ci saluta con affetto e prende sottobraccio il figlio; così ritornano a casa, sperando – credo – che questa volta il suo Omone possa dormire sonni tranquilli.

P.S. ovviamente, in seguito al mio “Sguardo Ammonente”, non vengo più chiamato dalla suddetta infermiera e riesco finalmente a dormire un paio d’ore! 😊 Siccome però “non c’è pace per i dannati”, la notte di veglia continua.

Gian Marco